Il lavoro pedagogico: l’importanza dell’ascolto e dell’altravisione

Base del lavoro pedagogico è l’ascolto: non solo ascolto delle parole utilizzate dal nostro interlocutore ma soprattutto dei significati in esse nascosti e delle emozioni che accompagnano qualsiasi esperienza (Riva,2004).

Ascoltare  significa “riconoscere l’altro”, significa essere-per-l’altro, almeno per tutta la durata dell’incontro, della relazione, del cammino comune.

Come? Prendendosi cura del suo e del mio modo di comunicare, degli sguardi, del respiro, delle parole e dei silenzi, e quando si sente che qualcosa non va, con la sosta, l’autoriflessività, con il dialogo interiore, con la meta-comunicazione.
Il mio sguardo è sempre stato volto ad interpretare le informazioni raccolte attraverso l’osservazione, cercando, come mi è stato insegnato, di essere oggettiva, non valutativa, aperta ad interpretazioni non preconfezionate, elaborando l’intervento educativo sulla base delle caratteristiche e delle risorse del singolo individuo con il quale mi trovavo ad interagire.
Apprendere il concetto di altravisione diventa quindi fondamentale per non focalizzarsi su un’unica prospettiva, ma per cercare posizioni ed interpretazioni diverse considerando tutte le cornici, in relazione e influenzabili tra loro, consapevole che qualsiasi atteggiamento, parola, comportamento operato da ogni appartenente al sistema, anche dallo stesso professionista, crea un effetto su tutti gli altri. Occorre offrire agli utenti la possibilità di vedere che non esiste un’unica verità narrata per sempre ma infinite verità possibili. (Sclavi, 2000)

E’ fondamentale saper accogliere il punto di vista della persona con cui entriamo in relazione senza dover necessariamente catalogarlo in una definizione “straniero”, “figlio di genitori separati”, “disabile”, “psichiatrico”. Occorre mettere da parte i preconcetti e le presentazioni degli invianti adottando una postura di ascolto attivo, considerando tutti gli aspetti della vita dell’utente nonché la SUA visione del suo mondo e la SUA storia.

Nel lavoro pedagogico è fondamentale imparare a mettere in pratica alcuni dei consigli forniti da Marianella Sclavi (2000) per la gestione creativa dei conflitti: è importante essere disponibili a cambiare le regole del gioco, a prendere tempo, a mettersi dalla parte del nostro interlocutore per cercare di aiutarlo ad entrare nella disposizione d’animo dell’ascolto attivo per farlo sentire sufficientemente accolto e sicuro da poter rischiare di assumersi la responsabilità di stabilire nei tuoi riguardi un rapporto di fiducia, che è
sempre in qualche misura congetturale, condizionato.

Si tratta di aprirsi al dialogo con le diverse esistenze e quindi con i diversi bisogni e punti di vista. E’ importante non lasciarsi intimorire e coinvolgere nel conflitto, anche se sarebbe la reazione più istintiva ed immediata, ma imparare a gestirli con creatività; gestirli in maniera costruttiva e consapevole aiuta a costruire dinamiche relazionali basate sul rispetto, il riconoscimento e la fiducia reciproca.

Una delle regole dell’arte dell’ascoltare proposte dal Marianella Sclavi “Se vuoi comprendere quel che un altro sta dicendo devi assumere che ha ragione e chiedergli di aiutarti a vedere le cose e gli eventi dalla sua prospettiva”.

Occorre depatologizzare ovvero dare all’interlocutore “la possibilità di vedere e leggere le proprie difficoltà partendo da differenti punti di osservazione come legati ad un preciso momento della loro storia, all’interno di un sistema organizzato in modo tale che determinati comportamenti suscitino sempre le stesse risposte” (Formenti,2008).

L’individuo è parte di una dinamica e, così, anche la sua azione. Essa può avere un significato se e soltanto se interpretata all’interno delle sue cornici relazionali di cui è parte, in altre parole, del suo contesto. Prive di contesto le parole e le azioni non hanno alcun significato (Demozzi, 2011).

Spesso esiste una storia, un problema che diventa cronico perché più operatori lo definiscono così, perdendo la volontà di continuare ad ascoltarla.
E’ importante introdurre il tempo nelle storie che gli utenti ci portano in modo da aiutarli a trasformare i “da sempre” i “per sempre” in “ adesso” “per ora” (Formenti,2008).

E’ importante interpretare il tempo non come un tempo che si perde o si passa ascoltando una persona, un tempo che ci si prende, che si dedica per porre domande e per ascoltarne le risposte, perchè solo accogliendo il suo punto di vista ci si può mettere in cammino verso orizzonti nuovi superando la cristallizzazione nella quale spesso ci si trova collocati, consapevoli che nessun professionista ha in tasca la soluzione predefinita a un problema ma che si può aiutare la persona a vedere un’immagine diversa di sè.
Mi era stato insegnato che dovevo osservare in modo oggettivo cercando di non essere coinvolto nella situazione osservata per non esserne condizionata; oggi so che, invece, devo considerare necessariamente il mio coinvolgimento perché inserita in un contesto e in una relazione e come tale sono condizionante anche inconsapevolmente.
Il mio scopo oggi non è cambiare la persona, ma costruire insieme possibilità concrete di assumere “novità” che si affianchino al noto, che tra loro dialoghino e si modifichino.
A volte basta aiutare qualcuno a cambiare le parole con cui si rap-presenta per cambiare la sua cornice, a volte basta cambiare le nostre parole per aiutare qualcuno a cambiare le sue cornici.

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